Ho trovato, nei miei appunti, un articolo scritto quasi due anni fa e, rileggendolo, non mi sono stupito della sua sempreverde attualità. Un abito buono per tutte le stagioni.
Non ricordo perché non è mai stato pubblicato, non ha importanza. Lo faccio adesso, perché cambiando i nomi dei protagonisti (per alcuni non c'è nemmeno bisogno) potrebbe riguardare i giorni d'oggi e pure quelli di domani, ne sono certo. Era il tempo in cui Biscardi aveva subito la metamorfosi e si era ritrovato Varriale.
Buona lettura.
La curiosità umana, in certi frangenti, genera una brutta forma di
masochismo. Ed è quello che mi è capitato lunedì sera quando, tra
l'annoiato e l'impiccione, ho pigiato sul telecomando per sintonizzarmi
su Raisport1 ed andare a scoprire in che modo Enrico Varriale ha rifatto
il verso alla storica trasmissione del Biscardi nazionale con il suo Processo del lunedì.
Ho
resistito pochi minuti, ve l'anticipo; non sopporto le accozzaglie di
pareri che si accavallano uno sull'altro senza che si capisca nulla di
ciò che si sta dicendo. E' talmente lapalissiano come
concetto che non riesco a capacitarmi di come si possa ancora concepire
un programma televisivo impostato con finanche 10 persone (quelle che ho
contato in quei pochi minuti) a voler dire la propria opinione
contemporaneamente. La "nuova" trasmissione sportiva di mamma Rai,
infatti, è solo un pretesto per tornare su un argomento a noi tanto
caro, quello dei mezzi di comunicazione e dell'importanza di avere una
informazione corretta e il meno possibile "tifosa".
Vi racconto,
pertanto, l'ennesimo smacco riportato dall'opinionista considerato
vicino agli ambienti bianconeri. Una premessa: il fatto di avere la
necessità di chiamare a raccolta quante più opinioni diversificate
possibili per dare l'impressione di aver confezionato un prodotto
esaustivo ed obiettivo è quanto di più triste si possa immaginare per un
giornalista. Commentare una notizia o un evento, per di più sportivo, è
diventato esercizio difficilissimo per chiunque e la pratica del politically correct ha rovinato quella che anticamente era l'arte della retorica. Guai a non garantire il contraddittorio e la famigerata par condicio, cavalli di battaglia di chi pensa a nascondersi dietro le opinioni pur di non argomentare sui fatti.
Torniamo dunque al Processo.
L'oggetto del dibattito era la notizia della squalifica per 3 giornate
di Balotelli a seguito degli insulti e delle minacce proferite
all'arbitro dal calciatore che ha pure la faccia tosta di chiedersi "Why always me".
Allo stesso modo di quello che abbiamo letto in questi giorni, anche in
quello studio c'era chi considerava la punizione giusta e sacrosanta e
chi, di contrasto, cercava di porre delle attenuanti o, peggio, delle
giustificazioni al comportamento del tanto discusso Mario. Arrivava,
così, il turno di Sergio Brio, l'ex calciatore juventino che calca da
anni le scene di questi tristi spettacoli di varietà in qualità,
appunto, di "avvocato difensore" della casua bianconera. Il nostro buon
Sergio non trovava di meglio che uscirsene con la più classica delle
paternali, quella che qualsiasi adolescente ha sentito pronunciare da
genitori e parentame vario dopo una ragazzata o per qualche tipica
controversia generazionale: "Ai miei tempi era diverso!" Nel caso
specifico, Brio esclamava con sicumera: "Quando giocavo io c'era più
rispetto per gli arbitri", prestando il fianco ad una facilissima quanto
crudele obiezione, puntualmente arrivata. Ebbene si, può succedere che
la memoria faccia brutti scherzi o che la nostalgia per ciò che è stato
tenda a mitizzare il passato oscurandone i momenti che vorremmo non
fossero mai accaduti. Non capita forse ad ognuno di noi quando
ricordiamo un campione o un beniamino del passato? Chi si ricorda delle
partite in cui David Trezeguet sembrava non essere proprio sceso in
campo o le memorabili assenze di Roberto Baggio?
Solo che né
Trezeguet né Baggio hanno scelto, per ora, di fare i commentatori in tv,
Brio si. E la sua sparata nostalgica non è passata indenne dalle forche
caudine, l'altra sera rappresentate dal sornione Marino Bartoletti: "Ma
cosa dice, Brio? Ha forse dimenticato quella volta in cui tutti voi
juventini rincorreste l'arbitro fin negli spogliatoi?"
Grasse risate in studio, figuraccia juventina completa.
Lungi
da me il voler rappresentare questo banale incidente diplomatico come
il peggiore dei mali che assilla il calcio italiano ed il giornalismo
che lo racconta. È solo l'ultimo di tanti momenti in cui mi chiedo come
sia possibile che la "Real Casa" torinese lasci a ingenui quanto
estemporanei personaggi una parte fondamentale del lavoro come quello
alla voce "relazioni esterne e comunicazione". Cerco di essere più
chiaro allargando la visione d'insieme, altrimenti il mio potrebbe
sembrare un attacco personale a Sergio Brio e questo è l'ultimo dei miei
intenti, in questa sede.
Nonostante ripetute sollecitazioni
sull'argomento, anche da questa redazione, continua imperterrita la
pioggia di falsità sulla storia bianconera più o meno recente senza che
qualcuno dai piani alti faccia anche solo uno sbuffo nella direzione da
cui sopraggiunge la calamità. Parafrasando un antico proverbio,
qualsiasi "pulce" che, con un colpo di tosse, si mette a "scatarrare"
sulla Juve, trova sempre un megafono pronto ad amplificarne la portata
mediatica con la quasi certezza di non essere né contraddetto né
corretto, figuriamoci querelato (quando, in certe occasioni, sarebbe
anche il caso) dalla società di Corso Galileo Ferraris.
Lo scudetto del '98; le sempreverdi accuse di doping, questa volta giunte dall'Olanda e dalla Germania; la testata giornalistia Euronews che associa la Juventus alle vicende del calcioscommesse; le numerose moviole
confezionate ad arte per nascondere certi errori ed amplificarne altri
(ricordate la mistificazione del CorSport sulla Supercoppa 2012? E "il
più grande scandalo della storia del calcio", by Pulvirenti?); le
invenzioni sui presunti casi di calciatori insoddisfatti, ultimo il
"solo bello" Llorente; la Gazzetta dello Sport e il CorSera che, per
celebrare lo splendore della presidenza Moratti (scusate l'ossimoro)
riesumano quelli che ormai sono solo dei luoghi comuni su Calciopoli
senza nessun riscontro oggettivo, oscurando piuttosto le accuse di
illecito sportivo e tutto il resto riguardante il succitato mecenate i
quali, senza le "disattenzioni" della procura di Napoli e il conseguente
sopravvento della prescrizione, avrebbero contribuito ad un esito
certamente diverso della farsa di 7 anni fa.
Tutto questo avviene in
un ambiente, quello dell'informazione, in cui a difendere la parte
juventina si trova spesso un soggetto non competente o non adeguato
(anche semplicemente dal punto di vista della dialettica) oppure non ci
sia proprio nessuno.
Ora, io non pretendo che Andrea Agnelli provveda
a coprire con un dirigente o un addetto stampa tutte le trasmissioni
sportive dell'intero etere nazionale, figuriamoci "Il processo del
lunedì". E non pretendo nemmeno che si risponda a tutte le scempiaggini
che passano sotto i nostri occhi alla media di almeno una al giorno,
tipo quella del senatore Gentile che denunciava giustamente, in merito
agli insulti razzisti verso la città di Napoli, lo strapotere
torino(!!!)-milanese nelle istituzioni del calcio.
Sarebbe impossibile e senza senso. Ma fare l'esatto opposto, ovvero lasciare che il solito sentimento popolare (do you remember?) continui ad albergare nelle menti dei tifosi, mi pare un atteggiamento autolesionista.
E
voglio specificare che qui non si tratta di difendere l'onore o
l'attaccamento ai colori o il prestigio della società. Il calcio non è
più uno sport che può permettersi certe nostalgie. No, qui c'è in gioco
un aspetto molto più importante del pallone e cioè la sua credibiità. È
tutto il movimento calcistico che ha bisogno di credibilità prima che i
tifosi, che sono pur sempre il brand principale di questa industria, se
ne disamorino in maniera irreparabile. E la FC Juventus ha, nei nostri
confronti, il dovere di intervenire e, nei confronti dell'informazione,
il diritto di pretendere correttezza e verità.
Tra poco meno di un mese ci sarà l'annuale Assemblea degli azionisti; sarebbe interessante rilanciare l'idea del canale tematico gratuito e capire se l'idea ha fatto breccia nelle menti della proprietà o se, per loro, "va tutto bene, Madama la Marchesa"
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